‘O Orsato ‘nnammurato

Roberto Beccantini1 marzo 2013

Non prendiamoci in giro, e neppure per i capelli. Un arbitro normale di un Paese normale avrebbe ammonito Chiellini ed espulso Cavani alla fine del primo tempo. Lo giustificava la gomitata dell’attaccante: netta, violenta, al di là delle provocazioni e della consecutio. Orsato, graditissimo dal Napoli, ha chiesto lumi a De Marco, puntuale nel mimargli il gesto. Già a Roma, Rocchi aveva graziato De Rossi. La Juventus che si lamenta degli arbitri è come il Papa che si lamenta del Giubileo (citazione mia), ciò premesso Orsato è stato un vigliacco. Qualcuno glielo ricordi. E qualcuno ricordi a Chiellini che, a forza di copule e di shampoo, rischia un paio di rigori a partita.

La sfida, adesso. Modesta, grigia, avara. Il risultato rispecchia il buon primo tempo della Juventus, subito in vantaggio e a un pelo dal raddoppio, e la generosa ripresa del Napoli, culminata nello scarabocchio di Dzemaili a porta vuota. Hamsik e c. si sono cimentati nel tiro da fuori, Vucinic e Giovinco hanno cercato di guadagnare l’area. E’ mancato, ai campioni, l’ultimo passaggio. Sull’altro fronte, Cavani continua a non segnare, e ha deluso Pandev, uno che di solito contro Madama si trasfigura.

Non è la prima partita del secolo che si riduce a un peto. La Juventus conserva i sei punti di margine, sette in caso di arrivo alla pari (pesa il 2-0 dell’andata). Non sono ancora sufficienti, ma non sono nemmeno pochi. Mancano undici giornate: senza la Champions di mezzo, credo che la Juventus non avrebbe problemi; così, invece, ne avrà perché dovrà dosare le energie.

Juventus matura, sì. E Napoli al quarto pareggio di fila: Lazio, Sampdoria, Udinese, Juventus. Con Dzemaili al posto di Britos, Mazzarri è passato alla difesa a quattro, cementando l’assetto. Alla fine, i calcoli armistiziali hanno prevalso sulle fregole di classifica. Contenti loro.

Il mio “cane”

Roberto Beccantini24 febbraio 2013

Non capitava spesso che la Ucla del mitico John Wooden perdesse. Un giorno capitò. E una cronista, petulante, lo fece presente al coach: «Avete giocato da cani». Sarà stato il paragone. Sarà stato il tono. Fatto sta che Wooden non gradì: «Piano con i termini, signorina, perché questi sono i “miei” cani».

Dal basket al calcio, il trasloco può essere laborioso ma suggestivo. Ho pensato ai «cani» di Wooden guardando Sebastian Giovinco. E ci ho pensato da presidente dell’associazione Giùlemanine da Giovinco. In fuorigioco e, spesso, fuori dal gioco. Generoso ma sterile. Per tutti gli attimi meno uno: quello del gol. Dico subito che Juvents tre Siena zero è risultato obeso, esagerato. La traversa della ditta Emeghara-Buffon (che balzo!) e il palo di Terlizzi avrebbero giustificato uno scarto meno netto.

Il sedere, a volte, assomiglia a un’ascella (un nome a caso: Isla) e a volte a un ginocchio (un altro nome a caso: Lichtsteiner), basta mettersi nei panni della tribù beneficiata.

Giovinco, Vucinic: la pazienza è un confine sottile, per il quale i lettori sono disposti a ogni genere di moccolo. Doveva rialzarsi dopo le vacanze romane, la squadra di Conte, e il Siena era un osso duro. Non solo: l’eccesso di diffidati e l’operazione Napoli avevano suggerito rimpasti di formazione e castità agonistica.

In via eccezionale, i campioni hanno vinto passeggiando. Si è rivisto persino Giorgio Chiellini. Giovinco ha, così, raggiunto Fabio Quagliarella, sette gol a testa. Sono loro i cannonieri della Juventus. Loro. Conte, lui, ha sei punti in più (58 a 52) e un piede nei quarti di Champions League. Un anno fa era ancora imbattuto, oggi ha già perso cinque volte (quattro in campionato, una in Coppa Italia). Meno gioco, più vittorie. Il calendario non dà tregua. E Giovinco, bé, Giovinco è questo qua. Anche le formiche non loro piccolo fanno i…

(Non) l’avevo detto

Roberto Beccantini20 febbraio 2013

Nel baseball, si parla di «partita perfetta» quando il lanciatore vince senza concedere basi su ball e battute valide, e senza che lui o i suoi compagni commettano errori. Nella storia del Milan, la «partita perfetta» è stata questa di San Siro, due gol a zero al Barcellona e, soprattutto, zero tiri in porta subìti, zero palle-gol concesse. Se la rete di Boateng – che il sottoscritto avrebbe annullato per il braccio alto di Zapata – è stata casuale, il raddoppio di Muntari è stato il suggello di una splendida azione Niang-El Shaarawy.

Complimentissimi ad Allegri. Non ha dato retta al suo padrone (Messi marcato «a uomini», non «a uomo»), ha ostruito gli spazi e presidiato i valichi, mirando, in contropiede, al bersaglio grosso. Al Diavolo la palla, al Barcellona il possesso palla: tutta qui, la differenza.

Quando Abbiati finisce senza voto e Messi con quattro in pagella, significa che il calcio è proprio un mistero senza fine bello (Gianni Brera). I confini sono stati così netti, così profondi, che riesce difficile pesare i meriti del Milan sulla bilancia del Barcellona e viceversa, il fumo catalano sull’arrosto rossonero. Il mio pronostico era: Milan 40%, Barcellona 60%. Una deduzione sorge spontanea: col cavolo che il Barcellona è «anche» Messi; il Barcellona è «soprattutto» Messi. La sua corsa ai record ha allontanato la squadra dalla ricerca di soluzioni alternative. Il catenaccio mobile di Allegri ha imprigionato il divino e sterilizzato i mortali, i cui muscoli di latta hanno sollevato quintali di noia.

Al Camp Nou farà caldo comunque. Da oggi, il pronostico gonfia le vele del Milan che però a Londra, contro l’Arsenal, rischiò di sperperare addirittura un 4-0. Se lo ricordi. Campione nel 2009 e 2011, semifinalista nel 2010 e 2012, il Barcellona sembra proprio sfinito, più che finito. A meno che Messi. Già, ma quale?